martedì 8 ottobre 2013

Parlare in pubblico: l'importanza della pausa

Uno degli errori più comuni che riscontro nei nostri corsisti è l’assenza di pause nei loro discorsi. Molti pensano, infatti, che la pausa sia un vuoto oppure la evitano perché ricordano i tempi degli esami universitari quando parlavano “di getto” per dimostrare di essere preparati.
La pausa è invece uno degli strumenti retorici più utilizzati dai grandi oratori.
Durante il nostro corso di public speaking ci esercitiamo anche a gestire le pause e a riconoscerne i diversi tipi: la possiamo usare a conclusione di un pensiero per lasciare un momento di riflessione a chi ci ascolta, può essere di transizione tra un passaggio e l’altro del nostro discorso, può essere usata all’inizio per trasferire alla sala, con il proprio silenzio, un’immagine di autorevolezza e sicurezza.
Obama, uno dei maestri del public speaking
Obama, uno dei maestri del public speaking
La pausa è molto utilizzata all’interno della frase, per spezzettarla e creare attesa. E’ una delle tecniche retoriche più utilizzate da Obama, soprattutto quando racconta una storia, per creare attesa e per suscitare curiosità in chi ascolta, proprio come in un film del quale vogliamo sapere  “come andrà a finire”.
Oltre che a creare enfasi, la pausa è utile all’oratore anche per riprendere fiato e riorganizzare le proprie idee, per risvegliare l’attenzione e per variare il flusso acustico.
Ma la pausa è utile anche al pubblico:  per riflettere su quanto ascoltato e per avvertire una variazione percettiva che riattivi l’attenzione.
Non abbiate paura, quindi, delle pause, anzi usatele a vostro vantaggio e ricordatevi di farlo con naturalezza per non apparire troppo “teatrali” .

Public speaking: esercitarsi per parlare in pubblico con efficacia

Public speaking: esercitarsi per parlare in pubblico con efficacia
“Non tanto mi dispiace la sostanza quanto il modo del suo discorso”, fa dire Shakespeare ad Ottavio Cesare nel suo “Antonio e Cleopatra”. E quante volte, infatti, ci capita di  ascoltare qualcuno che ha da dire delle cose interessanti ma le dice in modo sbagliato, senza trasmettere emozioni o con un tono incongruente. E ci capita non solo in politica ma nella vita di tutti i giorni: pensiamo al banale dialogo tra marito e moglie in cui il marito chiede “dove sono le mie camicie?” e lei risponde “sono nel cassetto”. Leggendolo col tono diverso si potrebbe pensare al marito nervoso che non trova le sue camicie e alla moglie che, infastidita, gli risponde che sono nel cassetto, dove sono sempre state! E’ per questo che tra i tre livelli della comunicazione, verbale, non verbale e paraverbale, questi ultimi due contano più del primo. I politici, ovviamente, sono convinti del contrario e che il contenuto, quello che hanno da dire, conti di più, portandoli spesso a compiacersi delle proprie parole davanti a platee assonnate.
Gli studi del prof. Albert Mehrabian, addirittura datati 1967, hanno dimostrato che in una normale comunicazione l’efficacia delle parole è pari soltanto al 7% del totale complessivo.
Il 38% è dato invece dall’importanza del paraverbale, dal modo cioè in cui si pronunciano le parole, dal tono, dal timbro, dal volume e dall'inflessione della voce.
Ben il 55% è dato invece dall’impatto del linguaggio non verbale, del corpo, dal contatto con gli occhi, dai movimenti del corpo, delle mani, dai supporti visivi, etc
L’oratore che convince è quindi colui che usa il proprio corpo e la propria voce come armi potenti e utili per attirare l’attenzione o sottolineare i passaggi più importanti.
A rendere più difficile il nostro discorso, soprattutto nella fase cosiddetta “rompighiaccio”, c’è la paura di parlare in pubblico. Quella sensazione che ci attanaglia e ci impedisce di essere naturali e sciolti. E può quindi capitare di avere tachicardia o addirittura tremori, di non permettere alla nostra voce di essere chiara e o di avere quei vuoti di memoria che ci fanno entrare nel panico.
In uno studio effettuato in Inghilterra la paura di parlare in pubblico è risultata al primo posto tra le fobie degli intervistati, precedendo addirittura la paura di calamità naturali e quella delle malattie.
E d’altronde anche uno degli oratori più esperti come Cicerone ammise di avere paura di parlare in pubblico. E’ quindi evidente che il primo modo per superare questa paura è quello di averne consapevolezza, considerare cioè la paura come qualcosa di assolutamente naturale e che nulla ha a che vedere con le nostre insicurezze. Al contrario, questa adrenalina, può essere sfruttata in modo positivo: è quello che si chiama eustress (eu: in greco, buono, bello). E’ quello tonico, uno stress ordinario, positivo, utilizzabile per “caricare” le pile. E’ indispensabile alla vita, si manifesta sotto forma di stimolazioni ambientali costruttive ed interessanti, è quello che ci fa tenere alta l’attenzione quando corriamo veloci in auto. Diversi sono i modi per superare la paura di parlare in pubblico e mi piace ricordarne due. Si tratta innanzitutto di avere un approccio positivo verso il proprio discorso. Spesso capita di immaginarsi andare sul palco come su un patibolo, pieni di ansie e di paure. Ci facciamo un’immagine di noi negativa, ci concentriamo sui sintomi dello stress, amplifichiamo il leggero tremore della nostra gamba, dimenticandoci che dietro il leggio nessuno lo noterà. Più frequentemente, ci concentriamo sulle nostre parole perché abbiamo paura dei vuoti di memoria e, appena ce ne dimentichiamo una, anche se ininfluente ai fini del nostro discorso, la nostra mente resta ferma là (“ecco! Ho dimenticato di dire quella cosa”) e rischia di farci dimenticare il resto. Allora la prima soluzione è quella di avere un approccio positivo verso il nostro discorso, fare quello che viene chiamato il ponte sul futuro e immaginarsi terminare il discorso tra gli applausi. Per fare questo basta ancorarsi ad un evento del passato in cui abbiamo dimostrato di essere sicuri di noi e richiamare quello stato d’animo, quasi in automatico come il cane di Pavlov, rivivendo su di se quella sensazione di sicurezza (può trattarsi di un esame andato bene, di una promozione di carriera, etc).
L’altro modo per superare la paura di parlare in pubblico è quello più banale ma il più efficace: esercitarsi. Solo attraverso l’esercizio possiamo superare la paura di parlare in pubblico e possiamo diventare padroni delle tecniche del linguaggio non verbale e paraverbale di cui parliamo durante i nostri corsi. E se n’era accorto anche Quintiliano, quando circa duemila anni fa disse: “Sono principalmente la consuetudine e l’esercizio a dare origine all’abilità oratoria”.